DIARIO DI VIAGGIO IN PERU'

 

Una cara amica, la moleskine e lo zaino sulle spalle. Inizia così il Perù… 
E’ da anni che Margherita ed io desideriamo regalarci questo viaggio noi due sole e, finalmente, ce l’abbiamo fatta. Dall’altra parte del mondo, è quello che continuiamo a ripetere mentre cerchiamo il biglietto aereo ma, non in un posto qualsiasi, in Perù dove il viaggio è movimento, scoperta, tradizione, dove il passato vive fra le rovine, versi di Neruda, credo...
Suona il citofono rispondo e scendo. Margherita ha gia sistemato il suo zaino sul taxi ed è li che mi aspetta, sorridente, in piedi. 
Arriviamo a Lima molte ore dopo, Ricardo è in mezzo alla folla con un enorme cartello su cui a penna leggiamo Camila y Margarita, abbiamo prenotato via internet un albergo a Miraflores chiedendo anche il transfer dall’aeroporto e la cosa sembra che abbia funzionato! 
Il mattino seguente recuperiamo il bagaglio di Margherita, ovviamente perso nel lungo viaggio e ci dirigiamo al terminal terrestre, la nostra meta è Ayacucho. 
A Lima ci fermeremo, se avremo tempo, al nostro ritorno, ora desideriamo solo arrivare sulle Ande. 
Ayacucho è una cittadina universitaria, a dodici ore da Lima, a 2731 mt slm. Qui è nato, da un gruppo di intellettuali socialisti, il movimento Sendero Luminoso. Parlando con i peruviani si sente come ancora sia vivissimo il ricordo della guerriglia, del terrorismo, degli ideali utopici e della dura repressione da parte del governo, centinaia i peruviani legati al movimento uccisi nel corso di rappresaglie armate. Sembra che si parli di chissà quando e invece è tutto così recente. Fino a qualche anno fa era ancora pericoloso addentrarsi in queste zone a causa dei banditi. Diverse tratte non erano percorribili ma, con l’arresto nel 1992 del leader del movimento, Guzman, le cose sono cambiate e le strade con il tempo sono state riaperte. 
E’ il 29 luglio e trovare un autobus diretto ad Ayacucho è pressoché impossibile. Il 28 si festeggia la Fiestas Patrias, liberazione dal dominio spagnolo, e tantissime persone si sono spostate per andare a trovare parenti ed amici. Un autobus ci porta fino a San Clemente, il bivio che divide la Panamericana, la grande autostrada costiera, dall’unica strada che porta sulle Ande. Scendiamo e cerchiamo in paese un mezzo che raggiunga Ayacucho. La Expreso Molina riesce ad assicurarci due posti sul suo autobus che dovrebbe passare verso le 11 di sera. A mezzanotte siamo ancora a San Clemente insieme a un sacco di famiglie sedute sui loro enormi bagagli, avvolti in tessuti colorati.
Eccolo, arriva, tutti si alzano in piedi e si buttano contro la portiera, oltre ai posti assegnati riusciranno a salire almeno un’altra decina di persone, potranno viaggiare sedute nei corridoi, gli altri attenderanno ancora un po’ o cercheranno di salire sui camion all’addiaccio. 
Viaggiamo tutta la notte e, probabilmente, siamo le uniche a non accusare il movimento, intorno a noi urla di bambini e diverse donne che soffrono la strada, ripidissima e tutta curve, il freddo non si sente, siamo così tanti che l’aria è viziatissima e calda, quando apro il finestrino mi chiedono subito di chiuderlo e, dopo un po’, ci abituiamo anche noi. 
Il primo impatto con il Perù è forte, ci sentiamo catapultate in un mondo surreale, fatto di rumori e colori che non ci appartengono e da cui ci sembra di essere ignorate, come donne senza profumo di Suskind. 
Con le prime luci del mattino ci svegliamo ad Ayacucho, ci avviamo a piedi verso un albergo, consigliatoci da una ragazza francese, trasferitasi in Perù per lavorare in una missione: La Criollesa, stanza 42. Con 25 soles abbiamo una camera con un terrazzo immenso e una vista spettacolare. 
Bene, ci siamo, le Ande ci circondano, un po’ siamo emozionate. Ora che le abbiamo di fronte qualcosa però mi stranisce: non so esattamente cosa mi aspettassi ma credevo che queste montagne fossero diverse, forse più innevate, meno verdi. Non è delusione ma stupore nel vedere qualcosa che avevo solo immaginato ed accorgermi di trovarlo completamente diverso da ciò che la mia fantasia mi aveva convinto avrei incontrato… 
Rimaniamo due giorni in questa cittadina tranquilla, le cose da vedere sono tantissime, la Cattedrale, le case coloniche e i dintorni come Quinua, nei pressi delle rovine Wari. In giro non si incontrano turisti, noi siamo pressoché le uniche o, almeno, così crediamo e di questo ci crogioliamo in continuazione.
Cusco è a 24 ore di autobus e, dopo due giorni di riposo ad Ayacucho siamo pronte per ripartire. Una tappa quasi obbligata è Handahuaylas, anche se non offre molto, a parte il suggestivo Garabato Pub, completamente ricoperto di pellicce di animali andini.
Sull’autobus per Cusco incontriamo i primi turisti, Fabio ed Enrico, ovviamente italiani. E’ difficile trovare posto per dormire a Cusco e così decidiamo di condividere un quarto al Rick’Arty, un ostello, con un meraviglioso giardino, a due passi dalla plaza de Armas. 
Cusco è, senza dubbio, la più bella città del Perù. E’ viva, allegra, colorata e i peruviani sono molto incuriositi dai turisti, se ti fermi qualche minuto in Plaza si avvicinano, si siedono con te e cominciano a farti un sacco di domande, da dove vieni, cosa fai come ti trovi in Perù, che squadra tifi e se hai visto il Papa… 
Tantissime le stradine che si snodano nella città del puma, figura che Cusco, nella sua prima ideazione urbanistica, dovrebbe rappresentare. La testa del puma è un sito Inca denominato Sachsauoman dove la porta del Sole permette di accedere ai tre piani di costruzione fortificata che mettono in congiunzione quegli elementi naturali così cari agli Inca: la terra, il cielo, il sole e la luna… un dualismo che ci accompagnerà per tutto il viaggio. 
Anche nel centro della città si respira storia, le mura Inca, ancora intatte, sono inglobate nei palazzi o semplicemente lasciate scorrere per centinaia di metri. 
A Cusco si potrebbe rimanere giorni e giorni senza annoiarsi ma anche la Valle Sacra ci affascina e così, con i piccoli autobus collettivi, andiamo a visitare Pisac. Alle pendici dell’antico centro Inca è sorto il pueblo dove, la domenica, si svolge il mercato. Nel primo pomeriggio visitiamo le rovine… e, per una come me che soffre di vertigini, è già una bella scommessa, dopo un po’ mi abituo ma le sensazioni sono così forti e particolari. Camminiamo su stradine di sassi scavate nelle montagne, terrazzamenti ripidissimi per le coltivazioni, case che si sviluppano verticalmente a strapiombo sull’Urubamba, il rio che attraversa la valle. Dopo ore di camminata torniamo in paese e non resistiamo alla favolosa empanada de queso del suo antico forno di pietra, ormai ci stiamo dimenticando qualsiasi tipo di precauzione alimentare, forse ingenuamente!
E’ sera quando risaliamo sul taxi collettivo, viaggiamo in silenzio, guardo Margherita ed Enrico e vedo sui loro volti un sorriso, come sul mio… ognuno di noi sta rivivendo questa giornata, non c’è necessità di confrontarsi. 
Dopo Pisac è la volta di Ollantaytambo, dove è ancora presente un centro costruito con l’antica struttura urbanistica degli Inca, ai lati delle piccole stradine scorrono dei rigagnoli di acqua che, grazie a un sistema di canali distribuivano questo bene di prima necessità a tutti gli abitanti.
Da Ollantaytambo partiamo con il trenino per Machu Picchu, forse l’unica grande delusione del Perù… non per il luogo, senza dubbio incredibile, ma per lo sfruttamento aberrante che ne è stato fatto. L’ultima fermata del treno è Aguas Calientes, una cittadina costruita solo per ospitare e vendere oggettini ai turisti. Da li partono i bus per la città Inca, ovviamente con dei prezzi folli, e lungo la strada dei ragazzini mascherati da Inca emettono dei versi di saluto e si fanno fotografare per poi richiedere l’obolo ai turisti sorridenti di fronte a questo circo. 
La Finlandia si è offerta di pagare una grossa cifra al Perù per evitare che un sito archeologico come Machu Picchu venisse trattato come una macchina da soldi ma il governo peruviano non ha accettato, preferendo sfruttare al massimo l’attrattiva. 
Nonostante tutto è comunque un’esperienza incredibile e, avendo il tempo, sarebbe preferibile arrivare a Machu Picchu facendo l’Inca Trail. 
In serata diamo l’addio a Cusco… il nostro viaggio continua. Abbandoniamo i giovani compagni di appartamento, che inizieranno l’Inca Trail e, con l’ultimo spettacolare tragitto sulle Ande, arriviamo a Puno dopo 9 ore. 
Puno si trova sul lago Titicaca. La nostra meta è un isoletta chiamata Taquile dove, non esistendo alberghi, è possibile farsi ospitare dagli abitanti con un piccolo contributo. Taquile è il classico posto dove ti chiedi perché ci sei andato per tutto il tempo in cui sei li e, appena te ne allontani, un senso di soddisfazione e orgoglio ti pervade, hai fatto un esperienza incredibile! 
Sbarchi a Taquile con il tuo zaino, che pesa venti chili, ti trovi di fronte una ripidissima scalinata di 500 gradini da fare a mezzogiorno… Cominci a salire, sei certo che prima o poi finirà ma non riesci ad immaginarti quando, incontri persone che scendono e ti guardano con tenerezza, manca poco, dai… finalmente arrivi in cima e, allora, scopri che per arrivare al paese c’è ancora un pochino di strada. Poi vieni brancato da Silvia, Taquilena che ti propone ospitalità… sei stravolto, non hai la forza di chiedere dov’è la casa, accetti speranzoso… ma, dopo una breve discesa ricominci a camminare fino al punto più alto dell’isola, appena sotto le rovine Inca. Per accorciare la strada Silvia ti fa salire e scendere da muretti di sassi che rotolano come biglie, alla fine ci sei… entri nel patio di una semplice casa di mattoni d’argilla, il bagno non esiste, togli lo zaino dalle spalle, lo appoggi per terra, ti volti e lo stupore non ti permette di dire nulla, è uno dei panorami più belli che tu abbia mai visto!
Passiamo il pomeriggio sedute sui gradini della piazza di Taquile dove un gruppo misto di peruviani, spagnoli e italiani, improvvisa una partita di calcio… il sole va via prestissimo e alle sei è già buio, con la torcia ripercorriamo quelle piccolissime stradine, non c’è illuminazione, il manto stellato si confonde con il lago, la via lattea ci si apre di fronte, Orione ci accompagna fino a casa. 
Siamo a quattromila metri di altitudine, su un isola senza luce, acqua corrente, telefoni… il vento ha cominciato a soffiare molto forte e, sbattendo contro le fronde degli alberi sembra volerci dire qualcosa. La notte a Taquile è faticosa, forse l’altezza, l’emozione… non si riesce a dormire, se non a tratti ma, il mattino dopo, la luce si riflette sull’acqua facendola brillare come un mare di diamanti e, dalle rovine, scorgiamo le vette boliviane incappucciate di neve.
Quando, a mezzogiorno, arrivano i turisti che passano la giornata sull’isola noi la abbandoniamo, rimaniamo sulla nostra barca a godere del sole come lucertole, di fianco a noi i peruviani si tuffano nel lago, per un secondo ci dimentichiamo di essere così in alto e siamo, finalmente, fiere di questa nottata a Taquile.
I tempi si fanno strettissimi e vogliamo essere ad Arequipa per il 14 di agosto, data dell’anniversario della città in cui verrà riaperta la Cattedrale dopo i lunghi lavori di restauro. Dobbiamo ancora raggiungere il Canon del Colca e, quindi, torniamo a viaggiare di notte sulle ormai conosciute carreggiate andine, ovviamente non asfaltate. 
Passiamo due giorni al Colca, siamo fortunate e riusciamo a vedere i famosi Condor sfrecciarci con magnificenza e orgoglio a pochi metri, hanno un’apertura alare di più di un metro e ancora una volta ci stupiamo.
Mi torna in mente una frase detta da Enrico, uno dei ragazzi italiani con cui abbiamo intrapreso una parte del viaggio. Credeva, come noi d’altronde, che immergersi nella natura e nella storia peruviana sarebbe stato uno stimolo, un’opportunità per conoscerci meglio, per riflettere per guardarci dentro ed, invece, ci ritroviamo sempre più spesso senza pensare. E’ come se lo stupore e l’incredulità avessero preso il sopravvento non permettendo a noi stessi di anteporci a quello che ci circonda ma facendoci godere tutti i più piccoli particolari.
Arriviamo ad Arequipa e ci rendiamo conto che il nostro viaggio è terminato… ci siamo allontanate dalle Ande e, pur trovandoci in una città bellissima, non siamo più pervase da quei colori e odori che avevamo fatto nostri. Arequipa è una città quasi europea, con un forte senso di appartenenza forse amplificato in occasione dell’anniversario della città… la sera del 14 una folla di persone si riversa nella piazza, ogni mezz’ora vengo accesi i fuochi d’artificio e per tutta la notte si balla per le strade e nelle piazze. 
Prima di tornare in Italia ci fermiamo a Paracas per visitare la riserva naturale delle isole Ballestas… leoni marini, pinguini, fenicotteri e pellicani riempiono gli spazi intorno a noi. Un altro ambiente, la natura è ancora diversa, in questo paese in cui si può trovare tutto e dove, tre settimane, sono troppo poco tempo!
Mi piacerebbe tornare in questi luoghi, con le persone che amo, per rivivere questa esperienza così difficile da raccontare… Camilla