Giappone
Diario di Viaggio di Umberto
 
 
 
Giorno 1 - 30 ottobre

Finalmente sono in Giappone, la terra di Mazinga, Ken, Holly e Benjii,
Lupen, Lamu e Sampei.

Il mio gigantesco 747 della British Airways tocca terra a Tokyo Narita
alle 11:20 dopo un viaggio di circa 11 ore, da Londra.
Alle 16:20, ovvero 5 ore dopo, sono giá alla stazione di Kyoto.
Considerando che ho speso 1 ora di treno da Narita a Tokyo centro, e 3
ore da Tokyo a Kyoto, praticamente in un'ora:
sono sceso dall' aereo
ho recuperato la valigia
ho passato l'immigrazione
ho ritirato il Japan Rail Pass
mi sono orientato nella stazione di Tokyo alla ricerca del treno giusto
Niente male, davvero.

Il primo impatto culturale con la realtà locale me lo danno i
poliziotti dell'immigrazione e il controllore del treno. Insomma: non
si é abituati a ricevere inchini dai poliziotti, e pur sapendo che
questa é la forma comune di saluto da queste parti, fa comunque un
certo effetto.
Il controllore entrando nello scompartimento si toglie il cappello,
esegue due inchini, dopodiché inizia a controllare i biglietti. É
molto gentile e rispettoso, tanto da farmelo immaginare difficilmente
in una situazione in cui si trovi di fronte a un passeggero sprovvisto
di biglietto. Quale sarebbe la sua reazione? Diventerebbe d'un tratto
un feroce samurai armato di spada o manterrebbe la flemma e la
gentilezza scusandosi per essere costretto a far pagare una multa? Boh,
decido di non sperimentare. Mi sono ripromesso di stare molto attento
alle spese, e prendere una multa per verificare la reazione di un
controllore non rientra esattamente in questi piani.

Durante il viaggio in Shinkansen tra Tokyo e Kyoto mi siede accanto un
signore con mascherina da chirurgo (credo che la usino in caso di
raffreddore). A un certo punto vado in bagno e mi porto dietro lo zaino
con portatile e documenti, ma irresponsabilmente lascio la macchina
fotografica sul sedile. Non é nel mio stile fare errori di questo
genere, ma evidentemente la stanchezza del viaggio sta facendo il suo
effetto. All'uscita del bagno vedo in lontananza il signore con la
mascherina che sta consegnando la mia macchina fotografica al
controllore, e appena mi vede mi corre incontro felice restituendomi
l'apparecchio. Che dire: welcome to Japan.


A Kyoto piove. É tutto calcolato, lo so. Devono farmi assaggiare la
prima fetta di Giappone in stile cyberpunk. E devo dire che la stazione
di Kyoto riesce perfettamente nell'intento: un gigantesco edificio su
piú piani in vetro e acciaio, in stile moderno. Sottoterra si dirama
un formicaio commerciale di piccoli negozi e banchi di vendita cibo.
Quest'ultimo viene proposto nelle forme e colori piú disparati, mi
verrebbe voglia di assaggiare tutto.

Ma prima di immergermi in quel piccolo caos mi metto alla ricerca
dell'ostello, che dovrebbe essere vicino alla stazione. Per un qualche
motivo ho preferito portare una mantella impermeabile da montagna al
posto di un semplice ombrello, e il risultato non é malvagio (nel
senso che a parte le scarpe, non mi bagno), ma l'effetto che deve fare
un gaijin (straniero) vestito come il nonno di Heidi a Kyoto deve
essere particolarmente buffo, gridolini e risatine si sprecano.

Ma non importa: questi sono i miei primi passi all'aria aperta in terra
giapponese. Amo queste sensazioni, sempre piu' difficili da provare
piu' si va avanti con l'eta': come un bambino che per la prima volta si
allontana da casa cammino in un giardino segreto di stimoli nuovi, di
colori e di suoni. Decisamente sono lontano dalle mie radici e da tutto
cio' a cui sono abituato. Sarebbe la situazione ideale per farsi
dolcemente trasportare dagli eventi come in un sogno, ma nel sottofondo
un ticchettio sempre piu' intenso mi riporta alla realtá: sta'
piovendo sempre piú forte, e la valigia si sta' bagnando. Devo
rimandare la passeggiata onirica e decisamente cercare l'ostello.

Una volta trovato l'ostello, e data la stanchezza, decido di fare una
cosa che probabilmente non avrei fatto in nessun'altra cittá del
mondo: passare la prima serata a esplorare la stazione. In effetti ce
n'é da vedere: 12 piani complessivi, varie aree commerciali e
sopratutto: cibo. Non mangio da ore.
L'offerta di cibo é varia, interessante e sopratutto sorpendentemente
economica: un vassoio con 3-4 portate (esempio: un paio di involtini di
riso, una scodella di noodles con funghi e verdure, un piattino di
frutta) costa sugli 800 yen, ovvero sui 6 euro. Durante questa prima
cena giapponese ho modo di sperimentare un mio personale metodo di
utilizzo dei bastoncini per mangiare i noodles: li metto paralleli e a
una distanza simile a quella dei denti di una forchetta, poi inzio a
girare. Mangio i noodles coi bastoncini cosí come mangio gli spaghetti
con la forchetta. Ah, le radici. Le stesse radici mi impediscono di
fare quello che i giapponesi usano per manifestare la loro
soddisfazione per la cena al cuoco, ovvero risucchiare molto
rumorosamente i noodles. I miei muscoli facciali si rifiutano di
produrre quei suoni, sono abitudini che risalgono a quando si era
piccoli, quando la mamma ci insegnava a non farlo. Questo mi fa
riflettere su quanto il nostro ambiente esterno ci condizioni durante
la vita, e una volta ancora mi abitua a accettare ogni usanza e cultura
diversa dalla mia.


Passata la cena, torno all'ostello e mi metto a dormire. Sono le 21 (le
14 in Italia), ma sono sveglio da 31 ore e crollo immediatamente nel
sonno.

Si sente parlare spesso di problemi legati al JetLag, la mia soluzione
é molto semplice: vado a letto quando sono distrutto dalla stanchezza.
Quando dormiresti anche su un cespuglio di rovi. Non c'é JetLag che
tenga.

Giorno 2 - 31 ottobre

Ho scritto non c'é JetLag che tenga... beh, il mio un po' ha tenuto:
alle 4 ho gli occhi sbarrati come a mezzogiorno (ho dormito 7 ore).
Decido comunque di rimanere a letto, un po' per non disturbare gli
altri, un po' per evitare di ritrovarmi stanco alle 10 del mattino.

Alle 5,30 peró mi decido, mi alzo. Avevo letto sulla lonely planet di
un bellissimo tempio buddista, il Kiyomizudera, che soffre però di
eccessivo afflusso turistico, con tanto di svariate bancarelle di
cianfrusaglie e milioni di turisti di massa giapponesi (un po' come la
nostra Assisi), per cui trovo sensato iniziare la mia giornata li, in
modo da evitare l'orda di turisti. Dopo un'oretta di cammino arrivo al
tempio. Sono circa le 7 e non c'é praticamente nessuno. Anche le
bancarelle sono ancora chiuse e l'aria é veramente mistica. Non c'é
dubbio: quella di alzarsi molto presto e di andare subito al
Kiyomizudera é stata un'ottima idea.

É il mio primo tempio buddista, e non potevo iniziare meglio. Svariate
bellissime costruzioni di legno immerse nel verde e nell'aria tersa del
mattino, qualche persona in preghiera. Sembra di essere tornati
indietro di 1000 anni. Mi lascio trasportare dall'atmosfera per le vie
del tempio, cercando di "entrare nella parte". Bevo poi le acque
della sorgente Otawa-no-taki, note per avere proprietà taumaturgiche.
I lunghi mestoli per recuperare l'acqua da bere sono depositati in uno
sterilizzatore a raggi ultra-violetti. Un pizzico del Giappone moderno
immerso in quello antico, ci stona un po', ma lo accetto di buon grado.


Da  Kiyomizudera mi avvio verso il centro città percorrendo le strade
acciottolate caratteristiche di questo quartiere. Lungo la strada mi
fermo a vedere altri due templi. In uno di essi, sento risuonare delle
campane all'interno di una delle sali centrali, entro, mi tolgo le
scarpe (come sempre), e mi avvio dentro. Immediatamente un funzionario
corre verso di me e mi dice in un inglese stentato che non posso
entrare. Mi chiede cosa voglio,  e io rispondo "giusto dare
un'occhiata", e lui: "non si può". Mi scuso e me ne vado.
All'inizio sono un po' deluso (é il primo atteggiamento ostile che
ricevo nei miei confronti da quando sono qua) ma poi realizzo: chi
pratica questi riti religiosi così interiori, riflessivi, non può
certo apprezzare il viavai di turisti con macchinetta fotografica.

Nell'ultimo dei templi prima di entrare nel centro cittadino vedo una
coppia di sposi in vestito tradizionale mentre fanno le foto del
matrimonio. Non é così comune, sono fortunato.


In centro passo dal quartiere storico di Gion (che poi avrò occasione
di visitare molto bene), e attraversato pontocho (una stradina larga un
metro con locande caratteristiche e tipico luogo di "avvistamento"
di geishe), vado da Ippodo, il negozio di té più antico della città,
per comprare una confezione di té per Simona. Il negozio (e
naturalmente sala da té) é tutto in legno, e presenta un'enorme
varietá di té, contenuto in giare di legno. Subito accanto c'é
Kakimoto Washi, che produce carta fatta a mano secondo l'antico metodo.
 Ma in questo caso mi lascio vincere dalla parsimonia e non compro
nulla (alcuni libretti di washi erano molto belli).  In serata passerò
poi da un altro negozio di carta Washi che troveró chiuso. Ma la
"ricerca" del secondo negozio mi da la possibilitá di assistere a
uno dei classici psicodrammi comici giapponesi.
Il via allo spettacolo lo da la mia richiesta a un minuto signore di
mezzetá, che stava partendo con la sua bicicletta, di indicarmi
appunto l'entrata del negozio. L'uomo non ha la minima idea di dove sia
 (poi si rivelerá essere a 30 metri da li) e non parla mezza parola di
inglese. Qui inizia lo psicodramma. Si farebbe impalare pur di mandarmi
via senza aver trovato il negozio, e allora inizia a chiedere in giro,
borbottando buffi monosillabi a vario volume, a volte sottovoce, a
volte urlando. Nel frattempo io sono quasi scomparso dai suoi pensieri,
che sono rivolti ormai unicamente a risolvere il grattacapo. A un certo
punto si infila in una casa a chiedere. Qualche secondo, ed eccolo
uscire trionfante urlando un qualcosa tipo "takaima-doooo" che
suona piú o meno come un "lo sapevo che era lí!". Facciamo i 30
metri (lui con bicicletta a seguito) e inizia l'atto secondo. C'e' una
palazzina con vari cartelli scritti con ideogrammi, nessuno dei quali
é corrispondente a quelli relativi al negozio che ho io. Ma lui é
certo: il "mio" negozio é quello al primo piano. Si precipita
quindi all'ascensore, io lo rincorro e una volta dentro schiaccia il
tasto "1". L'ascensore, ovviamente, non si muove (siamo giá al
piano terra!!). Lui si altera, prendendosela probabilmente con
l'ascensore non funzionante, e inizia a imprecare frasi di una
comicitá sublime. Dopo poco si convince e esce di nuovo. Nel
cortiletto c'é una saracinesca abbassata con altri ideogrammi scritti
sopra, e io gliela indico. A quel punto il suo viso si illumina:
"HAI" (si!) e scorrendo gli ideogrammi mi fá capire che il negozio
é proprio quello (chiuso, purtroppo). A quel punto il suo compito é
concluso e si allontana piuttosto velocemente (probabilmente temendo
una mia nuova domanda del tipo "dov'é un altro negozio di questo
tipo?), ma lo fermo: "signore! signore! La bici!". Aveva lasciato
la bici vicino all'ascensore.

Dopo il dramma in due atti vado a letto. Sono sveglio dalle 4. Dormo 3
ore e quando mi sveglio mi sento nuovo. É scomparsa la stanchezza del
viaggio e ho molte energie da spendere. Allora prendo e torno a piedi a
Gion (una mezz'ora di cammino), ma purtroppo inizia a piovere di
brutto. A questo punto comprare un ombrello é necessario: non posso
andare per le viuzze di Gion sotto l'acqua. Lo compro, ben sapendo che
conoscendomi mi durerá un paio di giorni o poco piú. Compro il piú
economico, 500 yen.

Gion di notte sotto la pioggia é interessante, e dopo un giretto mi
infilo in un ristorante indonesiano al terzo piano di un palazzo. I
tipi del ristorante sono molto simpatici, e inizio a chiaccherare. Mi
mettono anche un videocd a mia scelta (Sting-English Man in NY). Il
padrone del locale mi guarda e mi indica il viso, il naso. Io prendo un
fazzoletto e mi pulisco, ma lui continua. A quel punto uno dei
camerieri indonesiani mi dice che il tipo (giapponese) intende i miei
lineamenti e la barba, che dice essere "molto belli". É la seconda
volta in vita mia che un uomo mi dice che sono molto bello. Una volta
un Taiwanese, l'altra un Giapponese.

La fine della serata la passo in un Reggae Bar insieme a uno degli
indonesiani e a altri ragazzi e ragazze giapponesi. C'é una specie di
festa di halloween. Ma sono troppo stanco, dopo un po' me ne vado a
letto.

giorno 3 - 1 novembre

Questa volta il Jetlag é davvero finito.  Mi sveglio alle 9 riposato,
pronto per una lunga giornata di cammino. L'idea é di fare
l'escursione in barca del fiume Hozugawa, partendo dalla localitá di
Kameote per tornare a Kyoto. Arrivato a Kameote, mi dirigo all'ufficio
del turismo, dove c'é una simpatica signora che non parla mezza parola
di inglese (ma di questo si scusa continuamente). A suon di gesti e
versi capisco che una roccia é caduta nell'Hozugawa, e quindi di fare
escursioni in barca non se ne parla. Ma la signora mi propone come
alternativa un trenino storico che percorre il bordo del fiume. Non
potendo scegliere altro, propendo per il trenino. Sono l'unico
straniero in assoluto a prendere quel treno, il resto sono scolaresche,
pensionati e turistame vario. Siamo anche un po' fuori citta', e di
stranieri non se ne devono vedere molti, per cui sono soggetto di
ripetute occhiate e risatine. Il piú bulletto della scolaresca osa
addirittura un "bye" in inglese, suscitando risatine di ammirazione
da parte delle studentesse della classe. Io contraccambio. Come mi
confermeranno in seguito molti Giapponesi si rivolgono all'occidentale
dando per scontato che egli parli inglese. Tornando al trenino, il
tragitto non é che sia esageratamente interessante, e l'organizzazione
cerca di fare del proprio meglio usando buffoni vari che ogni tanto
passano dagli scompartimenti. C'é anche l'immancabile fotografo che
prepara cartoline ricordo istantanee, e tutti i presenti (tranne me) ne
acquistano almeno una.

In un modo o nell'altro, comunque torno alle porte di Kyoto. Giusto in
tempo per vedere il  tempio di Samada sotto un improvviso sole.
Contiene uno dei giardini zen piú belli del Giappone.


Dal tempio mi avvio a piedi verso la montagna (dove dovrebbe esserci
un'altro tempio), ma dopo un po' di cammino inizio a dubitare della
strada. Allora femo un uomo, anche lui a piedi, con zaino in spalla. Mi
dice che effettivamente ho sbagliato strada, ma anche che sono molto
fortunato: ho incontrato il piú grande conoscitore di stradine di
montagna di Kyoto. Si sta facendo tutta la strada giú dalla montagna
verso la cittá cercando, in caso di bisogno, antichi sentieri
abbandonati. Con lui ritorno a una stazione del treno, ma lui prosegue
lungo il fiume (anche se apparentemente non c'é modo di proseguire).
Io mi metto in attesa del primo treno, seduto su una panchina. Dopo
circa 10 minuti sento una voce venire dal bosco "Italiano!!". Mi
alzo, cerco con gli occhi, ma non trovo. "Italiano, I've found a
way!!". Era l'omino della montagna, aveva trovato la sua strada verso
la cittá.

La giornata prosegue con la visita del castello Nihjijo, con una cena
"Amato Kaizeki" costituita principalmente dai vari tipi di dolci
giapponesi (alcuni dei quali fatti con fagioli rossi) e da uno
spettacolo in teatro di un'ora, rappresentante le varie arti
giapponesi. Un po' turistico, ma interessante, almeno per avere
un'idea.


giorno 4 - 2 novembre

Oggi al risveglio non mi sento molto bene. Ho passato una nottataccia,
con mal di gola e mi sento uno straccio. I continui cambi di temperatura,
le piogge e il mio fisico ormai avviato verso il degrado dell'etá
hanno fatto il loro effetto. Peró non posso starmene a letto: come
ampiamente previsto da weather.com oggi é una bella giornata, e
voglio, devo andare a Nara, l'antica capitale del Giappone.
Il viaggio é anch'esso difficoltoso, a un certo punto devo scendere in
una non ben precisata localitá, e aspettare il prossimo treno. Nel
frattempo la piattaforma si popola di decine di studenti sui 6-8 anni,
tutti con il loro berrettino colorato che li raggruppa in classi (ci
sono quelli con il berrettino rosa, quelli con quello celeste e via
dicendo). Gli insegnanti non sono molti, ma l'incredibile disciplina
dei ragazzini non crea particolari problemi. Tutti si accucciano a
terra in attesa del treno, e si auto impongono di non fare troppo
rumore. Mi domando cosa succederebbe in Italia con un numero tale di
bambini in una banchina della ferrovia. Naturalmente mi sento molto
osservato, chissá, magari per loro sono uno dei primi gaijin che
abbiano mai visto.


Verso le 10 arrivo a Nara. Come suggerito dalla lonelyplanet mi dirigo
all'ufficio del turismo e richiedo una guida gratuita. Sono studenti
locali volontari che per passione e per  migliorare l'inglese
accompagnano i turisti in giro per la cittá. A me assegnano Makko, una
studentessa ventiduenne che ha abitato un anno a Seattle  e che ha un
inglese con fortissimo accento americano. Fa un po' strano, sentito da
una giapponese.

Nara, come Kyoto, é bellissima. C'é il tempio Todai-Ji, sito
patrimonio dell'umanitá, che contiene l'edificio in legno piú grande
del mondo, che naturalmente a sua volta contiene la statua di Buddha
(in bronzo), piú grande al mondo.
All'ingresso ci sono due tipici guardiani (A e Um, uno con la bocca
aperta e l'altro con la bocca chiusa), impressionanti.


Nel frattempo colgo l'occasione per tempestare Makko di domande varie,
che il piú delle volte la fanno scoppiare da ridere. Alcune di esse
riguardano il modo di vestirsi e atteggiarsi delle studentesse. É
veramente strano vedere ragazze sui 15-18 anni in tenuta da
marinaretta, almeno per me. Ma non sono sicuro al 100% che sia un male,
nel senso: in Italia pur avendo tecnicamente la possibilitá di
indossare ció che vogliono (le scuole non obbligano nessuna tenuta
particolare) i ragazzi di quell'etá portano comunque un'uniforme,
l'uniforme dei vj di mtv, le uniformi cool, alla moda. E questo crea
talvolta divergenze di classe, tra i figli di famiglie benestanti
capaci di sfoggiare gli ultimi jeans da 100 euro e quelli invece che
tali "lussi" non se li possono permettere. Qua tutti hanno la
stessa uniforme. Nel paese delle divergenze e autoidentificazioni di
classe almeno gli studenti partono alla pari. O quasi: molte scuole
lasciano libertá di scelta su calze e scarpe, e allora vedi le ragazze
con calzettoni bianchi lunghi e spessi (un po' come le calze da
ballerina), quelle con eleganti calze blu, quelle coi mocassini e
quelle con le Nike. Makko mi dice che alcune scuole non approvano molto
certi tipi di calze, e per loro indossarle vuol dire andare
"contro", e in qualche modo, dimostrare una propria distinta
personalitá.

Oggi é anche il giorno del mio primo Sake. Lo bevo in un
bar-ristorante dove lo producono in casa. Molto buono. Lo compreró
anche una volta tornato a Vienna.


Alle 15 peró sento ritornare gli influssi della nottata precedente, e
decido di non andare all'altro tempio nelle vicinanze di Nara, ma di
tornare a Kyoto e di stendermi un po' sul letto. Non mi voglio rovinare
i prossimi 4 giorni a Tokyo!
Alla stazione di Kyoto telefono a casa e risponde.... mia zia Nara!
Torno da Nara e parlo con Nara. Che sia un segno del destino?

La sera a cena finalmente mangio il sushi, non male. Al tavolo accanto
al mio scopro esserci una coppia di viennesi. I loro discorsi in
austriaco a un metro da me mi riportano immediatamente alla realtá. Ma
hey, é ancora presto per quello: mangio velocemente e me ne torno nel
mio mondo di fantasia con gli occhi a mandorla.

giorno 5 - 3 novembre

Oggi lascio Kyoto per Tokyo. In Giappone é festa nazionale, giornata
dedicata alla cultura. A Tokyo ci sará Tomomi ad attendermi e a
portarmi in giro. Stasera (se mantiene le promesse fatte, ma non dubito
che lo fará), mi aspetta una cena Kaizeki informale (una formale
potrebbe costare una fortuna).

Il treno per Tokyo, come tutti gli altri, parte all'orario esatto
riportato nella tabella di marcia. Fino ad oggi consideravo i mezzi
pubblici viennesi come i piú efficienti al mondo, ma il Giappone li
batte di gran lunga. Giá sulla piattaforma di attesa é possibile
sapere esattamente dove si fermerá il vagone prenotato, e infatti si
crea una piccola fila di persone che devono salire su quel vagone.
Questo permette al treno di sostare in una stazione pochissimi minuti e
a volte solo qualche secondo. Chi deve salire sa esattamente dove
dovrá farlo. Ho letto un racconto di un italiano che vive a Tokyo che
parla di come solo una volta, durante tutta la sua permanenza in
Giappone e a causa di un problema sui binari, un treno é partito con 3
minuti di ritardo. Una volta sul treno, i controllori si sono scusati
moltissimo dei 3 minuti, poi tranquillamente recuperati lungo il
tragitto. E si parla di treni che percorrono 5-600 Km in poco piú di
due ore. Incredibile. Mi chiedo cosa pensano i giapponesi quando
prendono il Firenze-Lucca. Una media di mezz'ora di ritardo per una
tratta di 70Km che il treno "rapido" percorre in un'ora e dieci,
mentre quello locale si attesta sull'ora e quaranta.

A mezzogiorno circa sono a Tokyo.

Tokyo é un trip.
Un immenso formicaio di manga-anime perennemente in movimento tra luci
al neon, templi, palazzi, negozietti, distributori automatici e suoni
immerse una perenne cappa di smog. Tokyo é cyberpunk. É il capolinea
della civiltá. É una maschera a due facce, una che guarda al futuro,
e una che guarda al passato. A Tokyo tutto e niente é normale. Tokyo
é un tentativo di andare oltre il limite.

Il mio soggiorno a Tokyo inizia "old-style", un albergo in stile
Ryokan, con tanto di tatami, futon, kimono, porte scorrevoli e té
verde.


Alle due aspetto Tomomi che si presenta in completo nero. Prima di
temere che lo abbia fatto in occasione della mio infausto arrivo scopro
che una sua collega di 28 anni é morta per un cancro, e deve andare al
funerale. Rimandiamo la cena Kaiseki al venerdí.

La prima giornata a Tokyo la passo a Asakusa, dove c'é il tempio
Senso-ji e a Shibuya. A Asakusa ti rendi immediatamente conto di non
essere piú a Kyoto: intorno al tempio ci sono miriadi di bancarelle di
cibo e cianfrusaglie, persone che vanno e vengono, una confusione
totale. A Shibuya ho invece il primo impatto col Giappone cyberpunk,
dei neon e dei suoni. Ci sono giovani vestiti e acconciati nei modi
piú strani. Si puó dire che a Shibuya i giovani manifestano il
proprio ego, anche se a gruppi, come al solito. Una ragazza dai capelli
rossi, stile irlandese, mi saluta. Siamo fra i pochi occidentali in
quella marea.


giorno 6 - 4 novembre

Mi alzo presto, intenzionato a gettarmi nella mischia di Akihabara,
electric town. Prima peró faccio un salto in un Manga Kissa, i
negozietti usati per leggere manga, per collegarsi a internet o giocare
con playstation. Alle 8 del mattino ci sono parecchie persone dentro,
che navigano, giocano o leggono. That's Japan. Mi collego al sito della
mia banca austriaca e scopro quello che mi auguravo: mi hanno appena
pagato lo stipendio, posso gettarmi nelle spese folli a Akihabara.
Andando verso Akihabara passo dal parco di  Ueno, dove c'é una statua
di un samurai che porta a passeggio un cane. Il parco di Ueno é anche
conosciuto per la presenza dei senzatetto. Una silenziosa multitudine
di persone che vivono in tende o sistemazioni di fortuna.
A Akihabara giro per un 5 ore circa nei negozi di elettronica e affini.
Alla fine ne usciro distrutto, ma con una nuovissima fotocamera Nikon
ultima generazione, due memory card, due usb key, una quarantina di
strani cd riscrivibili e varie altre cianfrusaglie.

Dopo Akihabara torno in albergo e mi preparo per la cena, stasera
incontro Azumi, una mia amica freelancer che cura i contatti tra negozi
di vestiti in Europa e il Giappone. É un bel lavoro: passa la metá
del suo tempo in una parte del mondo e l'altra metá nell'altra.
Andiamo a cena in un ristorante di Roppongi Hills, un complesso nuovo
nel quartiere di Roppongi.


In nottata mi butteró nelle vie di Kabuchico, il quartiere dei love
hotel dei localini malfamati e degli uomini yakuza. Ho sentito parlare
molto di  Kabuchico, al punto che mi aspettavo una specie di moderno
girone dantesco o di cittá perduta alla Nirvana. Alla fine risulta
essere un "normale" quartiere a luci rosse, con piú gente in giro
e neon, ma nulla di cosí sconvolgente. Solo i love hotel sono davvero
caratteristici, ognuno diverso dall'altro, con facciate extra-kitsch e
pacchiane, ma in linea con lo stile del quartiere. In complesso credo
che il red light district di Amsterdam sia molto piú caratteristico di
 Kabuchico.

giorno 7 - 5 novembre

Il venerdi lo passo in giro per Shinjuku. Un aspetto veramente tipico
di Tokyo sono i negozi e locali vari. Ogni palazzo é composto
tipicamente da 5 fino a 8 piani e a ognuno dei piani c'é una qualche
attivitá commerciale. In strada c'é un elenco delle varie attivitá e
a quale piano si trovano. Una sola strada alla fine puó quindi
contenere decine e decine di negozi, manga kissa, bar, dvd store,
karaoke o simili. É un impressionante sottobosco raggiungibile spesso
attraverso strette e ripide scale che portano a un altro piano. In
ognuno di questi luoghi (a volte veramente microscopici) c'é sempre
qualche cliente.


Questo aspetto della cittá é ció che mi ha impressionato di piú di
Tokyo: milioni di persone si riversano in minuscoli negozi. Lá dentro
la sensazione di formicaio é forte, sei in una microcella in un
palazzo di una cittá che si estende per decine di chilometri. Questo
é ancora piú ciberpunk di Shinjuku stessa: é la rivisitazione in
chiave moderna delle stradine commerciali tipiche giapponesi, dei
mini-negozietti celati dietro una tenda.

Alla sera finalmente incontro Tomomi che mi offre la sospirata (e
costosissima) cena Kaiseki. Dovró sdebitarmi, da questa parte del
mondo. La cena é meravigliosa, otto portate servite con un stile
proprio, descritto (in giapponese) dalla cameriera, il tutto bagnato da
ottimo saké.


Per completare il bagno di cultura nipponica chiedo a
Tomomi di andare in un Karaoke. Anche qua, é completamente differente
dall'Europa: le sale da Karaoke sono minuscole salette da 4-5 persone
al massimo dove canti con i tuoi amici. Devo ammettere che alla fine é
pure divertente. Io canto Hotel California e The Thrill is Gone, Tomomi
canta due imprecisate canzoni giapponesi che a me ricordano sigle di
cartoni animati. Alla fine vogliamo cantare una canzone insieme, ma non
ne troviamo una che conosciamo entrambi. Allora metto su "Silent
Night", quella la conoscono in tutto il mondo.

giorno 8 - 6 novembre

É il mio ultimo giorno in Giappone. Una sensazione di malinconia si
insinua dentro di me.
Oltre alla malinconia subentra anche una terribile stanchezza: per la
prima volta mi fermo, mi rilasso, e lo stress di questi 7 giorni si
abbatte su di me. Allora dedico la giornata a attivitá tranquille,
tipo passeggiare per le stradine del mercato di Tetsiji o per la
lussuosa Ginza (dove ahimé trovo un bellissimo negozio di dischi dove
lascio circa 100 euro) e per uno spettacolo orginale Kabuki.

L'ultima sera la passo in un jazz bar con Azumi, e passeggiando per
Kabuchico (che si trova a pochi passi dal mio hotel).

Si chiude il sipario su questo primo viaggio in terra nipponica. Ne
esco diverso, cresciuto, come succede alla fine di ogni viaggio. É
stato il viaggio degli stimoli estremi, delle nuove sensazioni e
sapori. Una terra e una cultura affascinante.