GR 20
GRANDE RANDONNÉE
ALTA VIA DELLA CORSICA

 

 

Martedì 2 settembre 1997

Sveglia alle 6 e partenza.

Da Calenzana al rifugio di Ortu di Piobbu (7 ore). Il tempo è variabile, a un certo punto è piovigginato. Alla sera si fa sempre più scuro e piove.

Il rifugio è gestito da una specie di sbriso[1] (con cane) che ascolta musica reggae e tiene appese bandiere con teschio e tibie e con Bob Marley.

È pieno di gente, sia contando chi dorme in rifugio (quasi 50 franchi a testa, con uso del gas per cucinare e delle stoviglie) sia i duri & puri che campeggiano fuori.

Gli unici italiani (!) sono una coppia di Bolzano. Per il resto, tedeschi, francesi e qualche inglese.

Per domani le previsioni non sono buone per la mattina, ma poi dovrebbe migliorare.

Una coppia di inglesi che arriva in tenda da Vizzavona, è al nono giorno di trekking. Si sono presi molta pioggia per strada e un giorno o due hanno dovuto fermarsi.

 

Mercoledì 3 settembre 1997

Dal rifugio Ortu di Piobbu (1560 m) al Rifugio di Carrozzu (1270 m) attraverso la variante per la Foresta di Bonifatu (4 ore e 45').

Ci alziamo che è buio e piove (è tutto un brulichio di gente che si agita di mattina presto …) Schifo. Facciamo colazione e aspettiamo che spiova almeno un po', quindi partiamo per la deviazione bassa (come tutti, del resto[2]).

Il bosco è fantastico. A metà strada circa c'è un favoloso torrente e ne approfittiamo per rinfrescarci e sciacquare qualcosa. Poi la salita e il rifugio, molto carino.

Tempo variabile. A sera monta un nebbione: un'umidità e un freddo notevoli. Ci cucchiamo una doppia razione di pasta e fagioli con una bottiglia di vino rosso locale.

 

Giovedì 4 settembre 1997

Dal Rifugio di Carrozzu (1270 m) al Rifugio de Stagnu presso Haut Asco (1420 m) (6 ore).

Giornata magnifica di saliscendi per i graniti e discesa (piuttosto spaccagambe anzi che no) alla stazione sciistica di Haut Asco. Il rifugio è bellissimo, con camerette a quattro posti su letti a castello (praticamente singole …), bagni, docce con acqua calda a volontà, una grande sala comune per mangiare e bei ballatoi tutto intorno. La gentile gestrice (contenta perché siamo italiani e non spagnoli !…) ci informa che è pieno pienissimo di italiani (vista neanche l'ombra).

Accanto al rifugio qualche orribile chalet e un albergo con bar e ristorante dove ci scoliamo qualche birra e ci facciamo cambiare centomila lire. Compriamo qualcosa da mangiare in uno spaccetto vicino (una bottiglia di vino rosso, un pacchetto di purè liofilizzato, pane, salame, biscotti e pomodori) dove c'è gente che parla corso, cioè praticamente italiano (devo ancora capire se c'è una differenza vera e propria oppure no: sembra una via di mezzo tra il siciliano e il genovese).

C'è un gruppetto di quattro italiani che ha fatto questa tappa, di Novara[3]. Ieri sera hanno dormito al Carrozzu, ma per loro non era la seconda tappa, bensì la prima. Avere forzato il primo giorno però non ha giovato affatto loro, perché stasera, dopo la discesa, sono a pezzi: hanno deciso addirittura di dormire in albergo e di approfittare della strada per mettere fine così alla loro gita.

Noi ci prepariamo la cena su un tavolino sul ballatoio, con vista sul monte Cinto: mica male!

Dopo cena Sili[4] chiama i suoi (visto che c'è una cabina e suo padre aveva tanto rotto. Spero più che altro che non si sia sognato di rompere le scatole ai miei – noi glielo abbiamo raccomandato) e poi ci prendiamo un bicchierino di mirto al bar, dove scambiamo due parole con i ragazzi di Bolzano. Loro hanno (ovviamente) la guida tedesca, che dice peste e corna della tappa di domani, per il Circo della Solitudine. C'è anche una cartolina in cui se ne vede un tratto armato con catene.

 

Venerdì 5 settembre 1997

Dal rifugio de Stagnu (1420 m) al Rifugio Tighiettu (1683 m) (8 ore).

Tappa in effetti non difficile, ma faticosissima: il cosiddetto Circo della Solitudine (ovviamente assai meno solitario di quanto indichi il nome) è tutto armato con catene e comprende sia la discesa dalla forcella, sia la risalita su quella opposta. Viste a distanza, le pareti sono così scoscese che sembra impossibile percorrerle. In realtà non è impossibile affatto, se le sono fatte tutti (o quasi … si comincia a notare la mancanza di qualcuno partito con noi da Calenzana) e anzi, mentre stavamo scendendo lentamente, siamo stati superati da un corridore di montagna (circa 50 kg, pantaloncini e maglietta, scarpe da jogging, borraccia in vita e mezzi guanti) che ha terminato la discesa ed è scomparso dalla nostra vista in tempi da lasciarci sconfortati.

Finalmente al rifugio, a sera, sembriamo incredibilmente pochi – e tutti piuttosto provati, ma soddisfatti.

Il gestore del Tighieddu (un giovanotto di marca simil-carnica, ferocissimo[5]) arriva "tardi" per le nostre esigenze a incassare il prezzo della notte, e andiamo a dormire che sono le nove.

Ho fatto una doccia fredda che mi ha lasciato ghiacciata fin nelle ossa fino alla cena (la minestra fa sempre il suo effetto), sono stanchissima, le ginocchia urlano vendetta al punto che ho paura di non riuscire a combinare niente domani.

Di notte mi sveglio e resto un bel po' così, ad ascoltare i topolini che corrono su e giù, senza riuscire a riaddormentarmi.

 

Sabato 6 settembre 1997

Dal Rifugio di Tighiettu (1683 m) al Castel di Verghio (1400 m) passando per il Rifugio Ciottulo d'I Mori, dove lasciamo nel libro un saluto agli Uccelli Pinnuti (presumibilmente pipistrelli) di Bastia, locale gruppo speleo. Una specie di massacro di 10 ore.

Dal Rifugio scendiamo alla Bergerie de Ballone, gestita da un corso scuro e torvo che, appena vede arrivare la processione dei randonneurs, si preoccupa per prima cosa di portare via dal sentiero l'asina prima che si formi la coda per fotografarla. Qualcuno si ferma a fare colazione, qualcuno compra qualche rifornimento (noi facciamo provvista di pane) e si prosegue.

Il percorso passa per la Foresta Comunale di Albertacce, poi si sale per guadagnare l'immancabile forcella giornaliera, ed ecco che il paesaggio cambia improvvisamente: ci si ritrova sotto la Paglia Orba e il Capo Tafunato ("forato" dall'erosione), con il Rifugio Ciottolu d'I Mori in vista e il terreno che digrada in balze dolcissime a perdita d'occhio nella valle del Golo.

Sono solo le 13.10, così ci consultiamo con chi vediamo e, a parte una coppia intenzionata a salire sulla Paglia Orba, tutti gli altri proseguono per il prossimo rifugio. Fra l'altro, tutto fa pensare che al Ciottolu si fermi ben poca gente, e perlopiù arrampicatori, anziché escursionisti.

Si prosegue perciò nella vallata, una lunga discesa e quindi la salita per Col de Verghio. È pieno di maiali selvatici che grufolano nel sottobosco senza curarsi di niente e di nessuno.

Arriviamo stanchissimi poco prima che si metta a piovere.

Castel di Verghio è una stazione sciistica. Quando non c'è neve (praticamente tutto l'anno) affittano agli escursionisti, a cui vendono a prezzo esorbitante anche alcuni generi alimentari. Il pernottamento costa 60 franchi a persona, cioè 10 franchi più che negli altri rifugi. In compenso non c'è la possibilità di cucinare all'interno e non c'è una sala da soggiorno al di fuori del bar.

Guadagniamo due brande a castello, ci rifiutiamo di fare la doccia a causa della stanchezza, ci spariamo un paio di birre e poi ci prepariamo un ottimo risotto sotto il porticato. Un bicchierino di grappa e a dormire.

 

Domenica 7 settembre 1997

Da Castel di Verghio (1400 m) al Refuge de Manganu (1601 m).

Tappa piuttosto lunga, anche se relativamente dolce e con paesaggio incantevole. Intorno al Lac de Nino mucche, cavalli, maiali, tutti a pascolare tranquilli. Escursionisti incauti si buttano a contemplare, incuranti della strada lunghissima da percorrere. È anche vero che la Refuge de Manganu si vede gente zoppicare, gente che si medica i piedi, gente dall'occhio un po' pallato per la stanchezza.

Il rifugio è in posizione magnifica. Prende il nome dal torrente Manganu, che si attraversa tramite un ponticello per raggiungerlo. In posizione elevata, permette di abbracciare con lo sguardo buona parte della vallata e la Bergerie de Vaccaghia.

 

Lunedì 8 settembre 1997

Dal Refuge de Manganu (1601 m) al Rifugio di Pietra Piana (dedicato alla memoria di Michel Fabrikant, amante della montagna e divulgatore delle sue bellezze, prima fra le quali è menzionato proprio il GR20: è l'unico rifugio dedicato o comunque legato a una persona).

Si risale il corso del torrente Manganu e si sale una forcella piuttosto impervia che spalanca la vista su vette picchi pinnacoli e i laghi di Capitello e di Melo (più oltre, anche il lago di Rinosa). Comincia quindi un percorso tutto di creste, magnifico, molto frequentato perché raggiungibile (evidentemente senza eccessivo dispendio di tempo e di energie) dalla valle della Restonica (si può vedere la teoria di auto parcheggiate dall'alto del GR20!)

Segue un saliscendi su frane di blocchi di granito, piuttosto faticoso, ma l'ultimo tratto del percorso è su terreno simile a quello delle parti nostre, terra e pietrisco, che sembra franoso (e infatti mette in difficoltà altri camminatori), ma non rompe le ginocchia come il granito. Siccome è pomeriggio e minaccia di fare un po' di pioggia, io e Sili acceleriamo, lasciandoci dietro più di qualcuno, anche perché temiamo che il rifugio sia molto lontano. Invece, per fortuna, a un certo punto lo troviamo proprio sotto di noi.

Fermo in contemplazione, evidentemente provato, uno dei tre ragazzi di Düsseldorf (quello bruno, che si faceva delle risate omeriche che si sentivano a distanza – i giorni scorsi!…) Gli chiediamo dei suoi amici, dice che sono già scesi, in effetti si arriva rapidamente.

È molto bello, con una cavallina, una coppia di asini completa di asinello, due cani e bestie varie che girano su e giù per il prato.

Il guardiano ha una casetta per sé, un po' in disparte. È impressionante: sta in shorts e maglietta incurante delle prime brume, fuma gauloise, porta al collo una catena d'oro con ciondolo a forma di Corsica, è tatuato sulle braccia ed è uguale identico a Jean Reno.

Facciamo una bella doccia CALDA (20 centesimi di balzello: Paolo osserva che il prezzo è conveniente, perché è sporco senz'altro per 50 centesimi – e suscita l'ilarità generale).

Arriva gente in continuazione e il rifugio non è grande, sicché abbiamo fatto benissimo ad accaparrarci due brande appena arrivati.

Piove un po', poi rasserena di nuovo.

Arriva una grossa comitiva di francesi o corsi, che monopolizzano la cucina del rifugio e fanno un bel casino. Bisogna fare a turno per mangiare (noi ci prepariamo il risotto alla pescatora[6] di fuori e riusciamo almeno a conquistarci un posto per consumarlo), siamo quasi tutti a letto verso le 8-8.30, mentre loro vanno avanti a fare casino, mangiare e bere (mentre noi cominciamo a dover razionare le risorse) fino dopo le 9 di sera. In compenso, noi ci alziamo tutti per le 6 …

 

Martedì 9 settembre 1997

Giornata magnifica, anche se la mattina è molto fredda. A causa dell'affollamento, ci facciamo il caffè all'esterno, mettendoci una vita e una mezza bombola.

Dal Rifugio di Pietra Piana al Rifugio dell'Onda (immediatamente battezzato "Non fate l'onda") il percorso è bello e tranquillo (ogni tanto fa bene!)

Esiste una variante per le creste, ma preferiamo il percorso basso sia per far riposare un po' le gambe, sia perché contiamo di poter comprare qualcosa in una delle bergeries lungo il percorso.

In tre ore circa arriviamo infatti alla Bergerie de Tolla, dove peraltro sono spaparanzati anche alcuni dei nostri compagni di camminata. Paghiamo uno sproposito pane e formaggio, un'insalata di pomodoro e cinque lattine di birra (di cui due messe in saccoccia per la cena). Philippe è schiavizzato per aiutare a scaricare gli asini appena arrivati con i rifornimenti. L'ambiente è indubbiamente bucolico, con anatre, cani, gatti e tutto il resto.

Il terzetto di Düsseldorf (che appare piuttosto affaticato) propone inusitati accostamenti pane-formaggio-birra-caffellatte. Dicono che vogliono tornare a valle oggi, con una tirata di una decina di ore, seguendo il torrente Manganello per arrivare all'abitato di Canaglia.

Sul torrente ci concediamo un po' di sole prima dell'ultimo tratto di sentiero. Nel pomeriggio sembra voler piovere, poi rasserena.

Al Rifugio c'è una coppia di genovesi di mezza età, partiti ieri da Vizzavona. Si lamentano della discesa spaccagambe (ma non hanno ancora visto niente!) e la signora già mette le mani avanti, che è impressionabile e che non sa se farà il Circo della Solitudine. Non ci danno molta fiducia.

Ormai siamo agli sgoccioli, diversi si sono persi per strada (i ragazzi di Bolzano, una coppia di tedeschi con ragazzino che pretendevano costantemente di dormire all'addiaccio, una coppia di ragazzi inglesi, il terzetto di Düsseldorf …) tutti gli altri, bene o male, si conoscono di vista.

Sotto il rifugio ci sono le baracche di due indigeni e l'area per il campeggio, occupata anche da cavalli, mucche e maiali all'esterno.

Andiamo per bere un bicchiere di vino e se non ci imponiamo, saremmo ancora là.

La baracca inalbera bandiera bianca con testa di moro, il padrone di casa maglietta indipendentista stampata davanti e di dietro. Si chiacchiera, ci versano da bere vino rosso forte (ma non è forte questo, dicono). Il padrone di casa ha fatto il camionista per l'Italia, conosce il Paese e sa dov'è Trieste; l'altro, più anziano, dice di avere dei parenti in Italia, ma di non esserci mai stato.

Si versa pastis ("pasticcio" …[7]) che corregge con tutto quello che trova, distribuisce sigarette e cioccolata. Gli chiediamo del tempo, della neve, dell'allevamento.

Intanto arrivano ragazzi a comprare vino e pane da portare via. Hanno un timore reverenziale per gli aborigeni, e in effetti che cosa pensare di uno che prende a ceffoni un cavallo? (però assicura che il cavallo se lo merita, dei tre è quello cattivo).

Ci imponiamo uno stop prima di dover fare la salita a gatto e riguadagniamo il rifugio. Ci spariamo una doppia dose di fusilli con (pochi) funghi mentre l'atmosfera si surriscalda un po', perché probabilmente i ragazzi non sono abituati a bere vino. La serata viene battezzata immediatamente La fête de la francophonie e così scopriamo che in realtà di francesi qui ce n'è ben pochi, alcuni sono svizzeri e la ragazza rossa e i suoi amici sono belgi. In effetti avremmo dovuto capirlo: se masticano l'inglese, non possono essere francesi!

 

Mercoledì 10 settembre 1997

Partiamo alle 7.30 per essere comodi con il tempo, dovendo prendere il treno. Dopo la prima cresta, che si guadagna in fretta, comincia la lunga discesa. La giornata è magnifica, il paesaggio anche, scendendo lungo il corso dell'Agnone, l'ultimo tratto (per fortuna!) dolcissimo in bosco. Qualcuno si ferma a fare il bagno, noi preferiamo continuare, pian pianino.

Vizzavona, per un momento, ci sembra una metropoli! … Ci piazziamo al bar della stazione con Nicolas e John e ci facciamo fuori un numero considerevole di birrette, poi arrivano un po' alla volta tutti gli altri, a cui faccio firmare il mio libriccino dei timbri[8]. Poi con il treno, via Ponte Leccia, arriviamo a Lumio e dopo neanche un chilometro a piedi, per fortuna, due ragazzi francesi ci danno un passaggio graditissimo fino al campeggio.[9]

 

 

Fotografie:

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Avvertenze:

 

Postilla 2002

Sono passati 5 anni dalla bellissima gita sul GR 20 e qualcosa da dire, e mi pare giusto, c’è.

Prima di tutto, i ringraziamenti!

Devo sincera gratitudine a Giuseppe, che mi ha offerto con tanta simpatia la possibilità di usufruire del suo sito per questo intervento: posso e voglio illudermi che la mia relazione possa contribuire a fare crescere sempre di più questa sua bella iniziativa!

Devo poi ricordare mio fratello Sandro, grazie al quale le fotografie scattate da Paolo e da me sono diventate dati utilizzabili e visibili nella rete: spero che vi piaceranno!

Ma veniamo al GR 20: è così famoso che di certo non ha bisogno della mia pubblicità, ma mi piace pensare che potrò convincere qualcuno in più della sua bellezza.

Il tempo passa veloce e le cose cambiano: fino a qualche anno fa era fondamentale parlare con chi aveva esperienze dirette, mentre oggigiorno qualsiasi motore di ricerca sarà in grado di fornire informazioni utili e aggiornate, e mi limito a segnalare soltanto:

www.parc-naturel-corse.com (sito del Parco Naturale Regionale della Corsica)

www.clubalpin.com (sito del CAF – Club Alpino Francese)

La recente guida Lonely Planet della Corsica dedica ampio spazio alle possibilità di escursioni più e meno impegnative e mi è parsa piuttosto ben fatta.

Come sempre, la Lonely Planet fornisce indicazioni anche sull’attrezzatura da portare, ecc. e dà il GR 20 come un trekking molto impegnativo.

Desidero precisare che, secondo me, qualsiasi buon escursionista è in grado di percorrerlo senza problemi e di goderselo un mondo: ma, sottolineo, qualsiasi buon escursionista!

Se durante tutto l’anno uno non si dedica normalmente a questo genere di attività, se l’idea di portarsi uno zaino di una decina di chiletti lo spaventa, se ha bisogno che qualcuno venga a spiegargli quante paia di calze deve portarsi, o se l’idea di nutrirsi di cibo liofilizzato gli dà una nausea immediata, mi pare evidente che non c’è nessun bisogno che, di punto in bianco, si imbarchi in un’escursione di più giorni, che a volte è faticosa e richiede in ogni caso spirito di adattamento e un po’ di filosofia per affrontare gli inevitabili contrattempi, a cominciare dalle condizioni atmosferiche: a queste persone suggerisco mete più adatte alle loro possibilità e alle loro inclinazioni!

Agli escursionisti che avrò convinto che il GR 20 vale la pena di essere percorso, auguro buon divertimento!

A disposizione di tutti metto il mio indirizzo di posta elettronica:
Patrizia (rimuovere CIAO dall'indirizzo email)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Dialettale per freak

[2] Avremmo scoperto in seguito che in realtà non proprio tutti avevano dato prova di buon senso: il terribile John aveva camminato in quota nonostante il brutto tempo, ma lui, tutto sommato, non conta più di tanto. È un inglese matto che sostiene di aver fatto il cammino di Santiago de Compostela e di volerlo rifare nell'inverno (!) del 2000 e che non ha mai voluto dormire sotto un tetto, né prendere un qualsiasi mezzo di trasporto.

[3] … e che ci ha scambiato per spagnoli.

[4] Paolo Siligato, anche detto semplicemente Sili, il mio ragazzo.

[5] I montanari di Carnia, in Friuli, sono tra i più rappresentativi della rude schiettezza di chi vive in ambienti particolarmente duri e selettivi.

[6] Che avrebbe turbato i sonni di molti nostri compagni, che da giorni andavano avanti a spaghettini conditi con fantasia: noi abbiamo cercato di portarci alimenti molto saporiti, e anche una piccola piccolissima (per ovvie ragioni di spazio e di peso) scorta di spezie: sudando molto, hai bisogno di mangiare qualcosa che abbia un gusto qualunque, purché sia deciso. Per il resto, ci siamo salvati la vita con il Supradyn, un complesso vitaminico potente in grado di tenerti su e di supplire alla mancanza di frutta e verdura fresche.

[7] Io gli faccio garbatamente notare che il vero pasticcio consiste nel prendersi una sbornia di quella roba! … Ci rammarichiamo di non avere niente con cui contraccambiare, ma già così si viaggia carichi … E del resto, l'ospitalità consiste anche in questo, nel saper accettare per il piacere di chi offre con il cuore.

[8] È tradizione della mia zona (Italia-Austria-Slovenia) che rifugi e vette siano provvisti di timbri di cui l'escursionista possa avere la soddisfazione di fregiarsi in libriccini acquistati a tale scopo. In Corsica e in Francia sembra che non si usi.

[9] Diversi dei randonneurs continuano il percorso nella parte appenninica, che però è meno interessante. Sono circa altri 5-7 giorni (dipende ovviamente dalle condizioni atmosferiche e dal ritmo che uno può tenere avendo già 8-9 giorni di cammino nelle gambe). La cosa straordinaria è che poi ci siamo ritrovati, per puro caso, in un campeggio, e abbiamo festeggiato con una bella cena: ma questa è già un'altra storia!